Sogni
Il Marocco, nell’immaginario collettivo e generico, viene associato ad un paese pieno di vita, solare e luminoso. Un caleidoscopio di colori, dalle strade affollate e rumorose, attraversate da sciami di persone nei quali si possono individuare con una certa frequenza figure quantomeno stravaganti agli occhi di un turista. Non posso negare che anch’io mi sia trovato a contemplare con una forte curiosità (e in certi casi morbosità) alcune situazioni e scenari a me nuovi. Vecchi ciechi che chiedono l’elemosina intonando canti dolenti, bambini lasciati al proprio destino fin da piccoli, uomini vistosamente storpi che si trascinano come sacchi, donne nascoste nei loro involucri di seta. Ho subito capito che non mi interessava fotografare il Marocco che già conoscevo. Quasi inconsciamente sono stato attirato, ancora una volta nella mia vita, da tutto quello che a prima vista era oscurato dalla grande bellezza dei luoghi che ho visitato. Il mio sguardo si è invece posato sulle persone in disparte, sulla solitudine e la malinconia, sui ciechi e i vicoli ciechi, sulle ombre e sulle figure ambigue nascoste nel buio. Sulle carni nauseanti appese ed esposte nei banconi, più che sulle spezie colorate e profumate. Sulla morte, più che sula vita. Le tappe del mio viaggio sono state Rabat, Fès e infine Chefchaouen, ma credo che questo sia relativamente poco importante dal momento che non ho realizzato nessun tipo di reportage nè di documentazione. Ho solo raccolto dei frammenti che rimandano in qualche modo a dei sogni. Ho notato che in molte delle mie fotografie c’era un’aria di mistero e un’atmosfera vagamente onirica data dal fatto che spesso le figure umane sono al centro dell’inquadratura, come presenze dunque lampanti ma allo stesso tempo irriconoscibili, a volte perse nello spazio.
E ancora continuerò a chiedermi ogni volta cosa stesse lanciando quel ragazzo sulle scale del porto di Rabat, mi chiederò chi sia la bambina che appare tra i due signori anziani a Chefchaouen. Più la guardo e più mi sembra che sia apparsa in un secondo momento come un oracolo. Invece era lì, e guardava proprio me.
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