La produzione “poetica” dell’udinese Franco Del Zotto sembra maturare da un punto di vista squisitamente concettuale già a partire dal lontano 1990, quando i precedenti studi giovanili in tecnica di “restaurazione artistica” vengono per la prima volta applicati su lavorazioni finalmente dense di notevoli connotazioni estetiche.
In quel periodo, a Roma, una serie di diverse superfici sapientemente affrescate “a muro” pare ripensare le classiche composizioni “a polittico” medioevali, la cui tradizionale conformazione simmetrica interna è qui però fondamentalmente messa in discussione.
In realtà, il “taglio” divisorio (dallo spessore più o meno allargato) tra le molteplici “pale” di raffigurazione simbolica, l’inserimento di elementi a decorazione pesantemente “squadrata” (quasi tozza), ma soprattutto la chiara curvatura “divina” superiore (tendenzialmente inclinata a destra) sembrano andare oltre il ben intuibile riferimento artistico alla caratteristica metafora dottrinale. Se, come sostiene il pittore Van Gogh, la vita stessa risulta molto probabilmente rotonda, il filosofo novecentesco Gaston Bachelard afferma che il più decisivo Essere Universale si deve immaginare in chiave circolare (anziché meramente “sferica”: una complicazione, questa, cara a Parmenide, e tuttavia già ingenuamente “cristallizzata” in una “perfezione” volumetrica appena geometrica, “limitata” da banali parametri matematici). La “piattezza” espressiva di qualsiasi simbologia rotonda, dunque, allude in modo evidente al grave problema estetico di raffigurare una possibile Attualità temporale o spaziale. Il poeta Rilke scriveva che la tipica conformazione tendenzialmente “accerchiata” degli uccelli, osservati con attenzione alla luce dell’atmosfera circostante, rimandava subito ad una parallela (ma più importante!) incurvatura superiore, relativa alla volta celeste. Nell’installazione di Franco Del Zotto, la rotondità quindi “arrotonda” la sua medesima ambientazione esterna, mentre la dimensione “unitaria” (o meglio ancora attuale) della composizione interna fra i disparati elementi decorativi vuole far “riposare” lo sguardo dello spettatore, incapace di concentrarsi sui singoli disegni cromatici. Le cupole degli antichi polittici medioevali “calmano” l’interpretazione metaforica complessiva, ma se per Bachelard nel componimento rilkiano la “propagazione” circolante (nel caso precedente, data proprio dalla corporeità ornitologica!) avviene per un avvenuto grido (forse, il verso dei suddetti uccelli), l’onda rappresentativa in grado di mostrare “visivamente” la basilare “incurvatura ontologica” qui resta artisticamente dichiarata dai numerosi contro-movimenti a spirale (le note “deviazioni regolari”, parafrasando il linguaggio usato da Kandinsky!).
Si può in effetti parlare di un chiaro “bilanciamento rotatorio”, nella misura in cui, accanto al grande “accerchiamento” ascensionale superiore (celestiale!), va altrettanto valutata a fondo la “piattezza” delle grandi molle decorative centrali. In un certo senso, come il poeta Rilke studiava la contrapposizione concettuale fra la rotondità “volteggiante” delle chiome alberate e la dispersione “casuale” delle foglie (decisamente poco attualizzante) dovuta alla forte ma “rischiosa” (per il suo imprevedibile “capriccio” fenomenologico) ventilazione aerea, così i ripetuti motivi a spirale interni simboleggiano degnamente il contemporaneo contro-movimento esistenziale. In sostanza, la vita umana, considerata nel proprio intrinseco divenire storico “decisionale” (sulla base, quindi, delle necessarie
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scelte comportamentali) si dissipa “allargandosi” in maniera continuata ma già da se stessa dinamica.
In realtà, sia le motivazioni sia soprattutto le conseguenze di qualsiasi nostro atto esistenziale hanno infinite “complicazioni” ambientali, il cui caratteristico “disordine solo cronometrico” (almeno, in opposizione alla più decisiva rotondità attuale) va per il poeta Rilke inteso in maniera espressamente “pericolosa”. La dispersione decisionale, perciò, assume nell’installazione di Del Zotto una configurazione astutamente a spirale: un’immagine, questa, che sulla superficie affrescata ricalca molto bene (come auspicherebbe il medesimo Bachelard) la caratura permanente e nello stesso istante mutevole della grande Volta dell’Essere (se d’altro canto la chioma di un albero viene a dissipare le foglie, essa lo fa per un immediato incurvamento superiore…). Probabilmente, l’avallato ed in seguito assai riuscito bilanciamento dialettico, fra i variegati motivi a rappresentazione circolarmente metaforica, determina precisi “stacchi” di scelta esistenziale la cui indispensabile “squadratura angolare” (tozza) va ovviamente inscritta dentro alla parallela Rotondità Ontologica.
I “pezzi” del mosaico cronometrico vitale appaiono così abbastanza pesanti, forse a delineare visivamente meglio l’indubbia fatica, ma anche il relativo (storico!) contrassegno temporale, in merito ad ogni nostra differente “decisione” ambientale. In definitiva, le scelte esistenziali umane, benché da un’ottica artisticamente fenomenologica qui assai contraddittorie, fanno comunque “restare” qualcosa di certamente “squadrato”, ossia il singolo “atto” intenzionale. Spesso, nella composizione elaborata da Del Zotto le “pale” rivedute dalla classica iconografia medioevale vengono improvvisamente tagliate, laddove il rigoroso (mai azzardato) distanziamento superficiale rivela la consueta paradossalità spazio-temporale del necessario “scarto” decisionale. Ancora una volta, i “pezzi” del divenire storico esistenziale vengono collegati tra di loro da continue “fratture” più o meno importanti, che naturalmente non possono affatto arrestare il contro-movimento a spirale di stampo fenomenologico (tendenzialmente posto in punti d’osservazione centrali, quasi a ribadire di nuovo la sua venatura prettamente focale…), la cui continuazione grafica e colorata rimane facilmente intuibile. La ben impostata incurvatura superiore rinvia implicitamente ad un successivo giro ascensionale, laddove la metafora inerente al “religioso” slancio sovrannaturale va riscontrata a partire dalle trasfigurazioni anche cromatiche. Così, il giallo trapassa in colorazione dorata, mentre il bianco riflette di una propria trasparenza interna: a tratti, invece, alcune chiazze d’azzurro acceso sembrano voler alimentare il dubbio di trovarsi ancora in una dimensione appena “atmosferica” (a metà strada, insomma, fra la condizione terrena e quella celestiale).
Paolo Meneghetti
Muri, 1990
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Muri, 1990

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